Grazie anche alla disponibilità delle potenti tecnologie di ultima generazione, si stanno accumulando dati crescenti sul ruolo del microbiota e si inizia a comprendere sempre più nel dettaglio l’azione dei microrganismi che ne fanno parte. Da questo microcosmo vengono così alla luce batteri e sostanze ad essi direttamente o indirettamente collegate, in grado di esercitare un effetto benefico e quindi potenzialmente utilizzabili – per quanto in prospettiva futura – a scopo preventivo o in qualche caso anche terapeutico.
Tra le new entry in questo filone di studi in costante evoluzione figura anche un batterio commensale intestinale dal nome quanto meno curioso – il Parabacteroides merdae – al quale un recentissmo studio pubblicato su “Nature Metabolism” (1) attribuisce la capacità di rallentare la progressione del processo aterosclerotico e di proteggere così l’organismo dal danno cardiovascolare che ne deriva.
Siamo ancora ancora agli esordi di un possibile impiego pratico contro l’aterosclerosi, ma anche per questo il P. merdae rappresenta il candidato ideale per inaugurare la nuova rubrica “Le interviste impossibili di Microbioma.it”, una serie di dialoghi con batteri, probiotici, prebiotici & Co. In breve, tutti i principali protagonisti della Microbiome Revolution.
Partiamo dalle sue origini e dal suo nome che – sia detto in tutta franchezza – non è proprio entusiasmante…
«Devo ammettere che è così, ma questo vale soprattutto per le lingue romanze o neolatine, mentre nel resto del mondo è un nome come un altro che risponde alle esigenze classiche della tassonomia e della nomenclatura binomia: il gruppo di appartenenza e la specie. Per quanto riguarda le mie origini, nonostante sia in circolazione da tempo immemore sono stato identificato da John L. Johnson e colleghi all’Università della Virginia, che nel 1986 mi hanno chiamato Bacteroides merdae (2) assieme al B. caccae e al B. stercoris: come si può notare, quindi, non sono l’unico a portare il peso di un nome imbarazzante. E pensare che per un attimo, qualche anno dopo, ho sperato che le cose potessero cambiare: per affinità fenotipiche, infatti, inizialmente ero stato attribuito al genere Bacteroides, ma nel 2006 due studiosi giapponesi hanno rivisto la classificazione alla luce di alcune caratteristiche genetiche e con il B. diastonis e il B. goldsteinii sono entrato a far parte del genere Parabcteroides (3). In pratica è cambiato il gruppo di appartenenza ma non quello che qualifica la specie. È stato un peccato che non mi abbiano cambiato anche il nome, ma ora eccomi qui».
Di recente con il suo nome si è fatto notare in un articolo della letteratura come un batterio che a partire dal microbiota è in grado di difendere l’organismo ospite dai danni dell’aterosclerosi…
«È corretto ma, non per vantarmi, non è la prima volta che in letteratura si parla dei miei effetti positivi. Nel 2021, infatti, uno studio pubblicato su “Nature” (4) ha dimostrato che rientro tra i microrganismi che arricchiscono il microbiota dei centenari, favorendo la produzione di acidi biliari secondari dotati di potente attività antimicrobica. Come si può immaginare, chi arriva a quell’età dev’essere meno esposto alle malattie legate all’invecchiamento, ai processi di infiammazione cronica e alle malattie infettive. A quanto pare, sembra che io interpreti un ruolo da non sottovalutare nelle difese antinfettive. Capisco che possa sembrare un effetto riguardante pochi fortunati individui, ma si tratta di un campo di studi di primissimo piano, che non è legato soltanto alla longevità, ma soprattutto alle possibilità di invecchiare in buona salute».
E riguardo ai suoi effetti contro la progressione dei processi aterosclerotici che cosa ci può dire?
«Si tratta della più recente delle acquisizioni che mi riguardano e della quale vado particolarmente fiero perché sono milioni ogni anno i decessi riferibili all’aterosclerosi e un numero ancora più elevato i deficit motori e cognitivi. In pratica, in base ai risultati di uno studio condotto all’Accademia cinese delle scienze di Pechino, sembra che con la mia azione io possa rappresentare un valido argine alla progressione dell’aterosclerosi legata all’obesità. Si tratta di un’ipotesi che mi lusinga, ma che allo stesso tempo apre un nuovo campo degli studi sul microbiota: se infatti era già noto che i batteri intestinali e i loro metaboliti possono influenzare nel bene e nel male l’obesità, finora non ci si era ancora addentrati nelle interazioni tra la microflora intestinale e l’aterosclerosi».
E’ stato appunto questo aspetto a richiamare l’attenzione della comunità scientifica sul suo ruolo…
«Sì, il lavoro pubblicato su “Nature Metabolism” rappresenta finora il risultato più importante della mia carriera. Tutto nasce all’Accademia cinese delle scienze di Pechino dagli studi sul GMD (ganoderma-menoterpene), il derivato sintetico di un fungo utilizzato nella medicina tradizionale cinese che nei modelli animali sembra in grado di esercitare una protezione contro l’aterosclerosi legata all’obesità. Si è così scoperto che il GMD agisce sul microbiota proprio aumentando l’abbondanza di P. merdae e in questo modo sono stato individuato come potenziale target per il trattamento dell’aterosclerosi e delle patologie cardiovascolari correlate».
Quali sarebbero i meccanismi alla base della sua azione di protezione delle arterie?
«In buona sostanza, secondo gli studiosi cinesi potenzio nell’intestino la scomposizione degli aminoacidi a catena ramificata (BCAA) in acidi grassi a catena corta e a livello della placca inibisco la mTOR, che regola la proliferazione e la migrazione delle cellule durante l’evoluzione della placca. In questo modo, la placca viene stabilizzata e si rallenta la progressione del danno alle arterie. Come controprova, i ricercatori hanno appurato che se vengo privato del gene porA, coinvolto nel metabolismo dei BCAA, non sono più in grado esercitare il mio effetto protettivo e che la mia presenza è meno abbondante nel microbiota dei pazienti con malattie cardiovascolari che presentano livelli circolanti elevati di BCAA».
Alla luce di questi risultati indubbiamente interessanti quali sono i suoi progetti per il futuro?
«Prima di tutto intendo confermare la mia utilità anti-aterosclerotica negli studi di laboratorio e sull’animale per poi passare agli studi sull’uomo, ma sono consapevole che si tratta di una strada ancora lunga e complessa che richiederà anni. Tra l’altro, in chiave anti-aterosclerotica, restano ancora da decifrare le interazioni tra noi P. merdae e gli altri simbionti che popolano il microbiota intestinale, perché io e la mia specie svolgiamo il nostro compito, ma si tratta di un lavoro in team che – va sempre ricordato – richiede anche la collaborazione dell’ospite in termini di dieta corretta, esercizio fisico e abitudini salutari. Il mio obiettivo è ovviamente di far parte, direttamente o indirettamente, di un preparato efficace che l’uomo possa assumere per contrastare il rischio cardiovascolare, ma sono consapevole che molto probabilmente dovrò agire sotto mentite spoglie, magari utilizzando uno pseudonimo: tornando al nome che mi è stato dato, dubito infatti che qualcuno sia disposto ad assumere qualcosa che si chiama come me».
Di Silvano Marini
References
1-Qiao S, Liu C, Sun L, et al. Gut Parabacteroides merdae protects against cardiovascular damage by enhancing branched-chain amino acid catabolism. Nat Metab. 2022;4(10):1271-1286. doi:10.1038/s42255-022-00649-y
2-Johnson JL et al. Bacteroides caccae sp. nov., Bacteroides merdae sp. nov., and Bacteroides stercoris sp. nov. Isolated from Human Feces. Int J Syst Evol Microbiol. 1986; 499-501. doi:10.1099/00207713-36-4-499
3-Sakamoto M, Benno Y. Reclassification of Bacteroides distasonis, Bacteroides goldsteinii and Bacteroides merdae as Parabacteroides distasonis gen. nov., comb. nov., Parabacteroides goldsteinii comb. nov. and Parabacteroides merdae comb. nov. Int J Syst Evol Microbiol. 2006;56(Pt 7):1599-1605. doi:10.1099/ijs.0.64192-0
4-Sato Y, Atarashi K, Plichta DR, et al. Novel bile acid biosynthetic pathways are enriched in the microbiome of centenarians. Nature. 2021;599(7885):458-464. doi:10.1038/s41586-021-03832-5
Bibliografia: www.microbioma.it |
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